Una volta ancora si risponde alla precarietà con la precarietà

9 years ago by in Video Tagged: , , , , ,

Signor Presidente, spiace per il parere contrario su questo ordine del giorno da parte del Governo, così come spiace che si perda ancora una volta di vista quali sono le priorità di questo Paese. Ricordo a me stesso, ai miei colleghi di Sinistra Ecologia Libertà e a chi costituì con noi una coalizione per cambiare questo Paese, che ambivamo a governare insieme e a cambiarlo questo Paese, a partire dalle priorità e ponendo al centro le persone, i diritti, il lavoro e lo sviluppo. 

Su questo tema oggi ci troviamo alla terza lettura di questo decreto molto delusi, perché non si dà una risposta seria, ancora una volta la politica pone la propria poca credibilità nei propri limiti. Ci spiace che questo avvenga e che, invece di dare risposta al lavoro e alla fame di lavoro che questo Paese ha, gli si risponda ancora con una deregolamentazione e con la precarizzazione del lavoro, con le stesse ricette che negli ultimi vent’anni non hanno creato lavoro, non hanno creato sviluppo, non hanno creato crescita per il nostro Paese e, anzi, hanno fatto sì che molto si perdesse e molto si disperdesse.

L’oggetto di questo ordine del giorno è in qualche modo esemplare delle politiche del lavoro di questi ultimi anni e, in particolare, delle ricette a cui non si pone mano per rimediare alle storture che sul mercato del lavoro si sono fatte in questi anni. Il tema è il lavoro accessorio, non come accessorio o come complemento, ma il lavoro accessorio dei buoni lavoro, quello del lavoro pagato con i voucher che nella sua istituzione, nel 2003, doveva essere ridotto a fasce limitate di lavoratori, a pensionati e studenti in particolare, per fare uscire ed emergere l’illegalità di questi contratti di lavoro e che, con l’andare del tempo, si è sempre più ampliato estendendosi a diversi settori,  dapprima quelli agricoli, che fanno della stagionalità il 90 per cento della propria forza lavoro, ed ha coinvolto anche gli enti locali.

Ha ridotto, quindi, ad una strutturazione la precarietà e l’utilizzo di questo tipo di lavoro a chiamata, che riduce notevolmente i costi per il datore di lavoro, ma marginalizza totalmente i diritti per il lavoratore. Si tratta, infatti, di forme contrattuali su cui i contributi pensionistici sono minimi, su cui si paga praticamente nulla di tasse, in cui non esistono garanzie per malattia o per maternità, non c’è un trattamento di fine rapporto.

Ebbene, non ci stupisce che, di fronte a un provvedimento che non ha avuto praticamente discussione e che, a ogni passaggio parlamentare, è passato per tre fiducie ed è stato peggiorato, in questa sede, su questo ordine del giorno, tutto sommato marginale, ci sia un parere contrario. Ciò perché ne rappresenta la filosofia che non dà risposte al lavoro, se non con risposte sbagliate, quelle della precarietà e di una precarietà strutturale, della paura del futuro che i giovani hanno per questo Paese e della non risposta in termini anche europei rispetto a questo.

Mi si dirà che il contratto di lavoro a chiamata esistono anche negli altri Paesi europei: sì, è vero, in alcuni Paesi esistono, in altri no. Ad esempio, in Svezia e in Danimarca non esistono affatto e, laddove esistono, in Germania, in Francia e in Inghilterra sono ben limitati. Sono ben limitati a determinate sfere di intervento e sono soprattutto portati all’emersione di un’illegalità. Ci appare invece che in Italia, purtroppo, siano volti ad una riduzione ancora dei diritti dei lavoratori e ad un incremento, ancorché occulto, di questa illegalità sul mondo del lavoro.

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