Grillo e la politica degli insulti

11 years ago by in Qua e là - consigli di lettura Tagged: , ,

di Claudio Fava

“Fava di ‘sta cippa, non ci rompere i coglioni e vai a lavorare se lo trovi” (Marco). “Fava, prima della tua dipartita fallo qualche callo nelle mani… lavora!!!” (anonimo). “Un altro fottuto fallito apre la bocca e gli dà fiato. Caro Fava, la fava ficcatela al culo e premi forte!” (Marco Donati). “Questi sinistretti cominciano a vacillare col cervello” (Giancarlo Sartoretto, detto Giankazzo da Velletri). “Addio burocrate dal lauto compenso, finirai a lavorare come tutti gli altri tuoi compari di tavolata” (Beppe). “Claudio Fava, tipico professionista dell’antimafia” (Gianni Frascogna).

“Il signor Fava Claudio, uno che ha costruito la sua carriera politica in nome del padre morto ammazzato da quella Mafia di cui lui si riempie la bocca ma a cui ha sempre fatto soltanto il solletico!” (Marco Salemi). “Claudio Fava e chi cazzo è Claudio Fava ma vaffanculo Claudio Fava torna nella tua tana verme!” (Fede M.). “Povero Fava hai che capirlo poverino dalla morte del padre è rimasto traumatizzato e sicuramente il cervellino non si è sviluppato ed è rimasto un poco celebroleso” (anonimo). “Figlio di cotanto padre, qualcosa ha modificato il DNA, l’assidua frequentazione del pd, le poltrone, i soldi o semplicemente la madre è 
certa, il padre chi può dirlo” (Riccardo Garofoli). “Da uno che si chiama fava cosa si poteva aspettare se non un’uscita a cazzo?” (Luca M). “Sei più ributtante di chi ti comanda” (anonimo). “Vai, nuova sinistra che già puzza di morto” (Piero F.). “Ecco uno dei peggiori.
Ed essendo uno dei peggiori non poteva che essere lui a toccare il fondo: mafioso!” (Paolo Cicerone). “La democrazia della mì fava” (Manuela Bellandi). “Caro Claudio, sei davvero una fava” (Tiziano Cecconi).

C’è qualcosa di irrimediabilmente fascista nei post che accompagnano le sortite di Beppe Grillo sul suo blog . Non è l’insulto, non è lo sberleffo ma l’assenza d’ogni parvenza di ragionamento, di pensiero critico, di dubbio. C’è il Messia, e poi c’è un imbecille che ha criticato il verbo del Messia: basta questo a scatenare la caccia all’uomo.

La storia è nota. Dice Grillo, comiziando a Palermo, che le tasse, la politica, lo Stato sono peggio della mafia. Almeno Cosa Nostra si limita a estorcere alle proprie vittime solo il 10 per cento sotto forma di onesta cagnotta. La mafia non le strangola mica le persone. Come invece fa lo Stato.

Parole in libertà. Chi vi scrive ha mandato a dire a Grillo che in quella sua involontaria apologia mafiosa non c’era nulla di originale. Lo spiegava Vito Ciancimino dai banchi di Palazzo delle Aquile, lo dicevano i mafiosi e gli amici dei mafiosi: la colpa è dello Stato, non di Cosa Nostra. Lo predicò a lungo perfino la chiesa siciliana: ne ammazza di più l’aborto che la mafia. Solo un problema di numeri, insomma: da una parte un moderato pizzo del dieci per cento, dall’altra il conto degli ammazzati non poi così drammatico. Basta imparare a conviverci…

Ciò che disorienta non è tanto il merito grossolano dei ragionamenti quanto il metodo con cui vengono offerti. Con limpida parodia berlusconiana Grillo parla solo per decreto, non si confronta con chi la pensa diversamente, non accetta interlocuzioni. S’affaccia da una finestra e le manda a dire. Se critichi e fai parte della sua compagnia, ti cancella con un click del mouse; altrimenti si limita ad aprire la caccia all’untore sul suo blog. E se s’accorge d’averla fatta fuori dal vaso, come è accaduto a Palermo, ti manda a dire che la stampa di regime ha travisato il significato delle sue parole, non ha compreso il contesto, non ha ben riportato le virgole. Gli stessi argomenti che per quindici anni ci ha ammannito Berlusconi.

Non mi stupisco. Perché il punto oggi non è essere di destra, di sinistra, di sopra o di sotto, per la politica tonda o quadrata, per il sistema dei partiti o per quello dei califfati, per il popolo o per la corona: il problema è che se ti senti Unto dall’Alto, l’unica cosa che ti preme è trovare una piazza colma, una finestra alla quale affacciarti e un editto da proclamare. E quando non c’è la piazza, te la procura il mio amico Michele Santoro: uno spottone in tivù su Beppe Grillo, un collegamento in diretta senza contraddittorio, un bel monologo di dieci minuti, mica Grillo è un politico come gli altri, mica il suo partito è come gli altri, mica ha bisogno di discutere con gli altri…

Qualcuno crede che sia questa la nuova politica. Io, che forse di politica me ne intendo poco, ho smesso di credere nei messia quando andavo al catechismo. E non mi diverto a cantarmela e a suonarmela da solo. Se Grillo vuole, possiamo discutere di questo e d’altro pubblicamente, dove vuole, quando vuole. Ma ho il sospetto che non vorrà. Tanto, come ci manda a dire Mario De Gasperi da Roma alle 8.46 del primo maggio: “Lo stato è molto peggio della mafia, lo stato è criminale, lo stato è la vera mafia, viva Beppe Grillo”.

Pubblicato su l’unità

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