Tweet, le relazioni pericolose

11 years ago by in Qua e là - consigli di lettura Tagged: , , , , , ,

di Maurizio Ferraris

Valérie Trierweiler, compagna del presidente francese François Hollande, ha mandato un improvvido tweet in cui invitava a votare contro Ségolène Royal, precedente compagna del presidente nonché precedente candidata alle presidenziali. Una histoire bien parisienne e soprattutto un complicato intreccio tra pubblico e privato per la miscela tra le relazioni, indubbiamente private, fra i tre attori principali della vicenda, e il profilo arcipubblico, perché politico ed elettorale, del tweet della Trierweiler. Come è stata possibile una gaffe del genere? Prendiamo ora un altro caso, quello di Anthony D. Weiner, il politico americano che ha mandato a ventimila persone una propria foto davvero molto informale: qui all’origine c’è un errore, per cui il politico in mutande ha premuto il tasto sbagliato e ha mandato la mail (che magari si intitolava “for your eyes only”) a un indirizzario fittissimo. La Trierweiler, invece, sapeva, o più esattamente credeva di sapere, quello che stava facendo.

Dico che “credeva di sapere” perché non sono sicuro che in un dibattito televisivo avrebbe fatto lo stesso. Lì non avrebbe avuto dubbi sul fatto di trovarsi in un contesto pubblico. Nel caso del tweet, invece, si è innescata la stessa illusione trascendentale che spinge politici e imprenditori indagati a dirsi tutto al cellulare, convinti che nessuno li intercetti o, ancor peggio (per l’incidenza quantitativa del fenomeno) fa sì che, sempre al telefonino, in treno le persone si dicano le cose più intime e imbarazzanti, come non rendendosi conto che intorno quei pochi che non fanno lo stesso li stanno ascoltando. Ora, lo strumento attraverso cui la Trierweiler ha inviato il tweet fatale era un cellulare, un oggetto di confidenze private, di sms che si mandano ad amici, parenti o amanti. Insomma, qualcosa che induce ad abbassare la guardia, e accade spesso, se si considera che di gaffes di varia natura (da affermazioni indiscrete a dichiarazioni antisemite di fronte a migliaia di followers) la breve storia di twitter ne ha ormai accumulate parecchie.

Ma il punto non è, ovviamente, Twitter, o Facebook, che è non solo il libro in cui mettere la faccia, ma anche il luogo in cui uno può perderla, bensì per l’appunto l’illusione trascendentale per cui lo stesso strumento, l’sms o la mail, che si adopera per comunicazioni privatissime è contemporaneamente il mezzo della massima ufficialità e pubblicità. In questo modo, crolla la distinzione tra pubblico e privato, anzi, tra universale e intimo, perfezionando un meccanismo che si era già avviato all’epoca dei mass media, ma che in precedenza si riferiva soltanto alle persone note, mentre oggi riguarda tutti. Non considerando che nel web tutto si crea, nulla si distrugge e tutto si ricicla, proprio come (altro aspetto del web) la frase imprecisa o infelice detta di passaggio e senza concentrazione può fare il giro del mondo. Come risultato: il web, molto più che una opinione pubblica (la quale passa necessariamente attraverso censure, e attraverso la convinzione fondata che ci siano cose che non si possono dire), è un inconscio collettivo.

Così, le relazioni digitali di cui ha parlato Antonio Casilli (Les liaisons numériques, Seuil 2011) sono indubbiamente Liaisons dangereuses, delle relazioni pericolose, e dopotutto il romanzo di Laclos era una proto-chat, in cui la corrispondenza di Valmont e di Madame de Merteuil è destinata a causare la disgrazia di altre vittime, sacrificate alla vanità crudele dei due corrispondenti principali. Si dice che il web alimenta il narcisismo, il che è assai probabile, ma si tratta di un’arma a doppio taglio, visto che può essere fonte di pesantissime disillusioni. Soprattutto, più che una zona di gratificazione e riconoscimento – l’armonioso dispiegarsi della intelligenza collettiva e dell’universale amore di cui (con un inguaribile ottimismo) si fantasticava quando Internet ha mosso i suoi primi passi – lo spazio del web è un campo di battaglia, una sfera polemica e politica.

Per quanto riguarda la polemica, abbiamo a che fare con vere e proprie guerre, che confermano l’ipotesi del mediologo e filosofo tedesco Friedrich Kittler (1943-2011) secondo cui non è accidentale che lo sviluppo dei computer abbia ricevuto un impulso decisivo nella Seconda guerra mondiale (Gramophone Film Typewriter, Stanford University Press 1999, l’originale tedesco è del 1986): per Kittler, i media non sono tanto una estensione dell’uomo (secondo la visione ottimistica di McLuhan) ma piuttosto l’uomo è il risultato dei media. Il che è molto probabilmente una esagerazione e una forma di fatalismo alla Spengler, che toglie responsabilità agli individui, ma dipinge bene il terreno non armonioso, ma conflittuale, in cui ha origine il web.

Questa conflittualità è anche una dimensione politica, le cui categorie fondamentali sono, almeno se si dà retta a un altro filosofo tedesco, Carl Schmitt (1888-1985), l’amico e il nemico. Entrambe queste dimensioni si manifestano attraverso una dichiarazione pubblica di amicizia o di inimicizia, e Facebook prevede la prima, e dunque implica necessariamente la seconda. La struttura minimale di questa situazione non ha neppure bisogno di social network, basta una esperienza banale, quella delle mail circolari con destinatari multipli: è sufficiente che uno dei destinatari decida di attaccar briga e può far esplodere una guerra di tutti contro tutti, che in genere finisce solo per esaurimento dei contendenti. Per non parlare di cosa succede quando per sbaglio uno manda a tutti i destinatari una mail (non necessariamente una foto in mutande) che era indirizzata a uno solo fra di essi: difficilmente si potrebbe marcare meglio la differenza tra il parlare a due e il rivolgersi a tutti.

In questa polemica e politica il web sembra rendere il senso etimologico della espressione “quasi”: “come se” (quam si) quasi intimi, quasi amici, anche se poi non necessariamente intimi, né amici per davvero, e anzi pronti ad attaccar briga nella grande arena polemica del web. La situazione che si produce è quella descritta in modo quasi profetico – perché sono riflessioni che risalgono agli albori del web – da Jacques Derrida (1930-2004) in libri come Politiche dell’amicizia (1994) e in molteplici riflessioni sul carattere ambivalente della figura dell’amico, prendendo l’avvio da una frase che Montaigne attribuisce ad Aristotele: “Amici miei, non c’è nessun amico”. Non è, alla fine, qualcosa di simile, quello che si produce nel web, dove tutti si danno del tu, come accade agli amici, ma possono esplodere le inimicizie peggiori?

La situazione che viene a crearsi è infatti la seguente: una conversazione a due, come può essere uno scambio di sms, ha sempre come testimone un terzo, che può essere un singolo o anche un milione di follower su twitter. Da ciò la conflittualità estrema. Diversamente dalle parole, gli scritti rimangono, le cose restano lì, non si cancellano, non si può far finta (come avveniva nel mondo pre-web, con uno stratagemma che spesso riusciva e riportava pace) di non averlo detto, di non averlo sentito, o di esserselo dimenticato. Inoltre, lo scritto – ogni scritto, come insegna La lettera rubata di Poe – ha la caratteristica di poter venire a galla, diversamente da quanto avviene per le conversazioni private, o per i pensieri che ci passano per la mente e che magari noi stessi dimentichiamo. Se però, come nel web, questi scritti arrivano dappertutto, si moltiplica il fenomeno per cui delle interlocuzioni semi-private (e in qualche caso, come per esempio nei blog, dei soliloqui) diventano relazioni pubbliche, anzi, politiche, sebbene in un modo singolare.

Di qui, come ha giustamente sottolineato la filosofa e studiosa di scienze cognitive Gloria Origgi, l’importanza di una “reputation”, cioè di un web che garantisca l’affidabilità dell’informazione, un problema centrale nel momento in cui i social network corrono il serio pericolo di diventare un aggregatore di calunnie e di errori. Ci si è chiesti a lungo che cosa potrebbe essere l’oggetto dei corsi di “etica della comunicazione” che proliferarono qualche anno fa. Adesso forse abbiamo un possibile campo di applicazione. Ma forse basterebbe anche solo un po’ di etichetta, anzi, di quello che di chiama “netiquette”, una guida ai comportamenti sul web. La sua prima regola consisterebbe forse nella richiesta fondamentale di Lello Arena in un vecchio film di Massimo Troisi: se proprio dovete fare degli inciuci, fateli alle spalle, non in faccia, anzi, in Facebook.

fonte la Repubblica 21 luglio 2012

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