Il regalo della Banca d’Italia e il ricatto dell’imu

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Il mio intervento in aula durante la discussione generale del disegno di legge, già approvato dal Senato, recante disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia.

Signor Presidente, è all’attenzione di quest’Aula un provvedimento, o meglio un decreto, che, per quanto contempli un numero ridotto di articoli, non rinuncia alla pratica di inserire una pluralità di temi disomogenei tra loro e che certamente sarebbe stato meglio tenere ben separati.

Il Governo ha scelto, ancora una volta, un percorso ingeneroso per l’attività del Parlamento e per la dignità della propria discussione. Fare una collettanea di più argomenti, e quindi agli articoli riferiti a IMU e all’alienazione degli immobili pubblici vi lega quelli che sono inerenti al nuovo assetto di Banca d’Italia.

Ci viene detto che il nuovo assetto di Banca d’Italia era qualcosa di urgente. Era quindi un tema urgente ? Banca d’Italia necessitava di un provvedimento che garantisse tempi certi ? Sono sicuro che su questo tema nessuno di noi possa dissentire, specie se ricordiamo che dal 2005 – e ricordiamoci in che occasione e in che clima e cosa avvenne in quell’anno rispetto a Banca d’Italia – il legislatore aveva previsto che vi fosse una norma che prevedeva il passaggio al Tesoro delle quote di proprietà.

Però tale urgenza e la giusta richiesta di tempi certi non giustificano a nostro avviso il ricorso alla decretazione, quando a novembre, a seguito di un’interrogazione del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà, si ribadiva che sul tema si era ancora in una fase di analisi. Era per forza necessario abbinare al tema, della Banca d’Italia quello sull’IMU, tanto controverso quanto pasticciato, lungo tutti i primi mesi della legislatura, umiliando ad un ricatto il Parlamento ? Perché di questo si tratta e di questo stiamo parlando: se il decreto sulla Banca d’Italia non venisse approvato, gli italiani saranno costretti a pagare la seconda rata dell’IMU. Il ricatto è umiliante per questo ramo del Parlamento, dopo che in Senato si è tenuto per settimane il provvedimento riuscendo a peggiorare il testo originario.

Nell’illustrazione della questione pregiudiziale abbiamo rilevato come questo decreto non sia omogeneo, ed è in totale contrasto con l’articolo 77 della Costituzione. Abbiamo invitato il Governo a ripensare la modo di intervento, anche ritirando o stralciando il titolo II che riguarda appunto la Banca d’Italia. Non sarebbe stata percorsa la via vergognosa delle settimane appena a ridosso del Natale con il ritiro del cosiddetto decreto «Salva Roma», ma una via del tutto dignitosa , che avrebbe instaurato una forma di rispetto tra Governo e Parlamento, per affrontare una questione che è strategica per il Paese e soprattutto non l’avrebbe sottratta ad un dibattito legittimo non solo del Parlamento, ma anche dell’opinione pubblica.

L’assenza di disponibilità a stralciare il titolo II del decreto, e la tardiva quanto confusa disponibilità del Governo ad aprire un confronto tra le forze parlamentari su un provvedimento successivo, di fatto costringe questa Camera ad intervenire su un organo costituzionale, su una delle funzioni fondamentali del Paese e indirettamente dell’Unione europea, senza che di fatto sia nemmeno possibile una discussione reale. I tempi in cui la stiamo facendo sembrano dimostrare appieno quanto affermato, senza nemmeno una seria adozione di emendamenti. Si tratta di un testo blindato, per come ci arriva dal Senato, inemendabile o addirittura indiscutibile.

Siamo di fronte ad una urgenza non spiegata e che non può che sollevare dubbi e riserve, diventando sempre più complicato e difficile non dare ragione a chi ritiene che l’aggiornamento del valore della Banca centrale, fissato nel 1936, sia diventato improvvisamente tanto urgente. Quindi ha ragione chi sostiene che tutto ciò nasca dall’esigenza di concludere il prima possibile l’accordo raggiunto tra i promotori del decreto, ovvero i grandi gruppi bancari e assicurativi, la burocrazia di via Nazionale ed il Governo. Allo stesso modo si avvalora la tesi di chi reputa l’operazione come un regalo ai grandi gruppi bancari.

È evidente come alcuni gruppi bancari siano i beneficiari privilegiati di questo provvedimento, e lo sono in modo clamoroso e senza la necessità di correre alcun rischio o di essere vincolati ad alcun impegno. La rivalutazione del capitale di Banca d’Italia passa da 165 mila euro a 7,5 miliardi, e rappresenta una straordinaria rivalutazione delle proprie quote di partecipazione al capitale stesso.

Consideriamo come la procedura sia derivante da una certa discrezionalità dettata dalla possibilità, del tutto legittima, dell’Istituto di auto-valutarsi, fissando il valore tra i 5 miliardi e i 7,5 miliardi e oggi, determinati con ancora maggiore discrezionalità da parte del Ministero del Tesoro e del Ministro, alla quota massima di 7,5 miliardi. Non è mancato il rilievo della Banca centrale europea su questo, una vera e propria tirata di orecchie, sull’indeterminatezza e sulla discrezionalità.

Allo stesso tempo la stessa Banca centrale ha sottolineato che anche in casi di estrema urgenza, come quelli che vengono dichiarati in questo caso, le autorità nazionali non sono esonerate dall’obbligo di consultare la BCE e di accordarle un tempo sufficiente a consentire che il suo parere sia tenuto in debita considerazione.
La BCE ha ricevuto la richiesta di consultazione il 22 novembre, il decreto è stato approvato il 27 dello stesso mese,ment e il 27 dicembre la BCE emette il parere, ricordandoci che gli Stati membri dell’Unione sarebbero tenuti a sospendere l’iter legislativo in attesa della sua espressione.

Questo non è avvenuto, anzi si è andati avanti e l’Italia, il Parlamento italiano, al Senato, ha cambiato il provvedimento in un punto estremamente sensibile, quello relativo alla nazionalità dei possibili azionisti, a parere già acquisito. È facile prevedere che questo Parlamento dovrà fra pochi mesi, subire l’umiliazione di dover di nuovo intervenire sulla materia tornando sui propri passi, finendo per rinfocolare anche i sentimenti antieuropei, come sempre accade quando prima si solletica il nazionalismo e poi si è costretti a cambiare idea.

Ricordiamoci quanto il contesto europeo sarebbe importante, viste le scadenze che ci impone, anche considerando che nell’autunno del 2014 è prevista l’istituzione del meccanismo di vigilanza unico, che rappresenta uno dei passaggi previsti per la realizzazione dell’unione bancaria in Europa volta a dare vita ad un quadro finanziario integrato per salvaguardare la stabilità finanziaria e ridurre al minimo il costo dei fallimenti delle banche. Sarebbe stato opportuno andarci nel migliore dei modi, e non sotto due richiami della Banca Centrale e in una situazione che probabilmente dovrà essere ridiscussa in queste aule tra breve.

Infatti, anche rispetto ad altri punti, l’operazione non sembra essere pienamente convincente. La rivalutazione delle quote azionarie e dei dividendi fanno capo alla funzione pubblica della Banca d’Italia e non si capisce perché i benefici di tale funzione,svolta dalla Banca centrale in condizione di monopolio per legge dello Stato, gli utili fatti comprando titoli di Stato e non in momenti di stress di mercato e utili derivanti dalla gestione del patrimonio conferito devono andare a dei privati. La ricchezza accumulata dalla Banca d’Italia appartiene agli italiani e ai cittadini e non può andare a dei privati, come in questo caso avviene.

In sostanza, tutti gli utili della Banca d’Italia derivano direttamente o indirettamente dallo sfruttamento di un bene pubblico. I soggetti privati titolari delle quote del capitale della Banca d’Italia non possono dunque vantare alcun diritto su quegli utili. L’operazione consentirà agli istituti di credito, invece, di presentare una forza patrimoniale superiore a quella attuale.

Siamo sul terreno della finanza creativa, che certo non aiuta a ristabilire un clima di fiducia tra investitori e tra gli stessi istituti di credito, venendo a mancare la necessaria trasparenza dei bilanci.

Se la situazione precedente a questo decreto, caratterizzata da una distribuzione di dividendi quasi simbolica, poteva anche essere tollerata, la situazione cambia decisamente quando agli azionisti si garantisce una rendita annua certa vicina ai 450 milioni di euro. E su questo abbiamo avuto modo di interloquire anche in Commissione, sull’abnormità di questo parametro, fuori da ogni mercato ed esposta alla grave scadenza temporale, dettata in 36 mesi, per retrocedere dalle quote eccedenti il 3 per cento, che impediscono di partecipare a questa divisione degli utili tra chi eccede, appunto, la quota del 3 per cento.

Il fatto che il Ministro stesso fosse molto indeterminato e quasi all’oscuro di questa scadenza dei 36 mesi ci lascia molto preoccupati su come questa vicenda è stata condotta e su quali esiti potrà avere. Ed è per queste ragioni che riteniamo assolutamente fondati i timori di chi definisce già oggi questa operazione un grande regalo ai gruppi bancari ed assicurativi.

Si tratta di una privatizzazione di fatto, quindi, di un asset pubblico a costo zero per le banche e questo avviene senza alcun impegno richiesto. Forse sarebbe stato necessario, dal punto di vista sia morale che politico, richiedere, agli istituti bancari beneficiari di così grandi vantaggi, certezze ed impegni concreti, ad esempio su temi come la crescita e lo sviluppo o soprattutto legandoli al tema del credito.

Sarebbero stati temi capaci di generare effetti ben più positivi di quelli attesi dai timidi provvedimenti che il Governo ha esposto ed ha messo in campo in questi mesi.
Invece, nulla di tutto ciò è stato fatto. Si tratta, quindi, di una norma rocambolesca che si lega a quella della legge di stabilità, che ha coperto il buco dell’IMU imponendo alle banche di pagare in anticipo nel 2013 le tasse ordinarie che matureranno nel 2014. Una sorta di prelievo forzoso che avrebbe destato critiche in ogni Paese europeo, ma che, evidentemente, è stato sopportato dal sistema bancario e creditizio in cambio di questi vantaggi patrimoniali. Lo scambio, però, è ineguale. Il prelievo pesa su tutte le banche, ma i vantaggi vanno solo alle grandi. Si tratta, quindi, di un vero e proprio ricatto nel ricatto che spiega in questo modo perché il tema della Banca d’Italia in qualche modo venga legato a quello dell’IMU.

E sull’IMU francamente facciamo fatica a dire ancora qualcosa di nuovo e di diverso rispetto a quanto abbiamo detto in più di un’occasione nei mesi scorsi. Abbiamo ritenuto scellerata la scelta propagandistica di volerla eliminare, di «vendere» agli italiani la promessa della totale esenzione dalla tassazione sulla proprietà degli immobili. Possiamo anche dire che questa operazione ha avuto più di un esito di tipo fallimentare e francamente, visto che la proposta era di una parte politica che oggi non sostiene più neanche il Governo, non solo farebbe bene a ripensare quella scelta, ma farebbe molto bene a venire in Parlamento e a chiedere scusa del pasticcio fatto sull’IMU ai tanti comuni italiani e al sistema delle autonomie messo in crisi nella propria capacità di programmazione politica e pratica con uno spostamento dei termini per i propri bilanci preventivi sino al 30 novembre. Farebbe bene a chiedere scusa. Nella piena legittimità e nella piena facoltà dei comuni, di provvedere ad aumentare le aliquote. E avrebbe fatto bene a non promettere o a non lasciare intendere a quegli stessi comuni che la collettività avrebbe pagato per quegli aumenti legittimamente compiuti dagli enti locali.

Credo che questi siano dati importanti. Io ho apprezzato la bellissima citazione del relatore Causi che fatto un’ottima relazione riportando quanto avvenuto nella discussione in Commissione. Ha fatto una bellissima citazione di Karl Popper riferita agli errori. Io ne faccio una più prosaica di un adagio popolare che più o meno recita: “ho fatto talmente tanti errori che mi viene la tentazione di continuare, perché mi vengono bene”. Questa è la strada intrapresa dal Governo. Vorrei che fosse quella indicata dall’onorevole Causi, che si emenda dai propri errori, ma l’esperienza di queste settimane e di questi mesi ci dice esattamente il contrario. La scelta fatta sulla tassazione immobiliare, una tassazione non più sulla proprietà ma sul possesso degli immobili, rischia di essere peggiore di quella precedente.

Abbiamo più di una volta criticato come l’eliminazione della tassazione dell’IMU si sarebbe potuta evitare e fare in maniera diversa. Abbiamo criticato come la soppressione indiscriminata per tutti i contribuenti proprietari di casa in forma lineare e senza alcun collegamento con i reali valori economici sottostanti all’imposta e sganciati, quindi, dalla capacità contributiva degli stessi, violasse manifestamente i principi di capacità contributiva, di progressività delle imposte, sui quali si fonda, perché in questo modo tali principi vengono saltati il nostro sistema tributario, e in cui l’IMU occupava un ruolo di rilievo. Su questi aspetti si sarebbe potuto fare meno pasticci. Attendiamo le scuse su questi pasticci fatti dal Governo per andare incontro a una fantomatica promessa di carattere elettoralistico fatta sull’IMU.

Circa le norme che riguardano l’alienazione del patrimonio pubblico, anche su questo abbiamo alcune perplessità legate alla riapertura dei termini per la sanatoria edilizia. Un condono edilizio per quegli immobili che sono caratterizzati da irregolarità, facoltà oltretutto estesa agli enti territoriali, che comporta un grave pregiudizio per l’ambiente e per la tutela del territorio e la palese violazione dell’articolo 9 della Costituzione. La possibilità di riapertura dei termini del condono edilizio solo per la vendita di edifici pubblici lede il principio di uguaglianza e di ragionevolezza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

Abbiamo quindi posto la questione pregiudiziale di costituzionalità, di cui eravamo convinti, sulla questione Banca d’Italia, in particolare sulla costituzionalità di questo decreto-legge, ma molti sono gli elementi di serio dubbio di costituzionalità rispetto all’interezza dei temi trattati da questo decreto-legge. È qualcosa a cui non avremmo voluto assistere, è qualcosa che avremmo voluto discutere prendendoci l’impegno di dare tempi certi, da un lato garantendo le promesse di una parte politica sull’IMU, creato e generato un’aspettativa negli italiani, quella di essere esentati dalla seconda rata dell’IMU. Dall’altra parte, avremmo voluto stralciarlo e discuterne approfonditamente perché si aprisse nel Paese una discussione importante sul tema della Banca d’Italia. Credo che sottrarre all’opinione pubblica il tema della propria banca centrale, del proprio asset, della propria governance e del proprio asset proprietario, è qualcosa di assolutamente grave che lede i più fondamentali principi di un dibattito sano di un Paese che vuole definirsi moderno e democratico.

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